«La nostra adolescenza era trascorsa senza che ce ne accorgessimo, e noi insistevamo a cercarla come un orologio da polso smarrito o scippato».
A Napoli dopo la guerra non c'è rimasto
nemmeno il tempo di pensare. I mesi si sono
fatti polvere, polvere sono le case bombardate, polvere è il cibo liofilizzato che riempie i piatti, e i sogni pure sono «polvere di
stelle», come canta per le strade un motivetto hollywoodiano. Però sotto la polvere
la città è viva, anarchica, persino spudorata.
Soprattutto se a raccontarla sono gli occhi
di un ragazzino; soprattutto se il ragazzino
è Roberto De Simone.
La cronaca di un anno eccezionale, un romanzo di formazione fatto di episodi brevi e spesso ambigui, sempre acutissimi.
I bombardamenti, l'amicizia, i bordelli e il
contrabbando. E poi il conflitto fra cultura
scritta e cultura orale. Ma anche la fede, i
voti e i miracoli: il passaggio dalla religiosità popolare a quella stimolata dai media - i
rotocalchi diffondono le immagini di «un
bel frate con la barba nera» che risponde al
nome di padre Pio. E infine, naturalmente,
la musica: quella che il piccolo protagonista
suona al pianoforte, ma anche le canzonette e i canti popolari. De Simone attinge alla
memoria delle immagini e a quella delle parole per restituirci il ritratto fedele di una città grottesca e sublime, che anche «nel periodo della piú calamitosa miseria» mantiene
Anonimo -