La depressione, è stato detto, è la malattia del ventunesimo secolo. Nel 2030, dopo le malattie cardiovascolari, sarà la patologia responsabile della perdita del più elevato numero di anni di vita attiva, e già oggi gli antidepressivi rappresentano una delle principali componenti della spesa farmaceutica pubblica. Ma non c'è solo la depressione. Ci sono forme emergenti del disagio psichico che non erano così rilevanti nella psicopatologia del Novecento: disturbi di panico, disturbi borderline, disturbi ossessivo-compulsivi, anoressia, bulimia, fenomeni di ritiro sociale. Questo «contagio», cui la pandemia ha fatto da ulteriore moltiplicatore, ci dice qualcosa di importante sulla natura della nostra società e sulla sua tendenza a privatizzare il disagio psichico, trasformandolo nel frutto di una macchina cerebrale malata da riparare e dimenticando la natura relazionale, e dunque politica, della mente. Attraverso un'indagine lucida e tutta sul campo, incentrata sulle testimonianze dirette di chi dal disagio psichico è stato travolto e di chi si sforza ogni giorno di comprenderlo e curarlo, Marco Rovelli racconta i disastri della civiltà ipermoderna e neoliberale che ha preso corpo definito negli anni Ottanta all'insegna del motto thatcheriano: «La società non esiste. Esistono solo gli individui». E si sforza di suggerire percorsi alternativi, di condivisione e di salvezza, nella speranza che vengano tracciati al più presto.
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