Una malìa, una attrazione irresistibile e sinistra verso il mistero di una presenza e soprattutto di una musica incantata, è alla base del fascino unico che questo racconto - un piccolo gioiello del fantastico vittoriano che non ha ancora trovato in Italia l'attenzione che merita - esercita sul lettore. Presentata, secondo una convenzione ricorrente nel genere fantastico (basti pensare a "Il dottor Jekyll e Mr Hyde" di Stevenson, o a "Il giro di vite" di Henry James), da più voci narranti, quella dello "Stradivario perduto" è la storia di una ossessione e di una tragica caduta nel male. John Maltravers, aristocratico studente a Oxford, innamorato di sé e del suo violino, riceve nel suo studio ripetute 'visite' di una presenza invisibile che si anima, ogni volta, al suono di una gagliarda. Da qui, alla scoperta di un antico Stradivari nascosto in un cassetto segreto, e all'incontro, prima con il ritratto e poi con lo spirito inquieto e maligno di un negromante vissuto un secolo prima, si dipana, al ritmo turbinoso di quella sonata, la storia della sua sciagura: il graduale distacco dagli affetti, dalla fede, dai luoghi rassicuranti di una Inghilterra ben salda su principi morali e sociali - verso il Sud, verso un'Italia gotica e corrotta, verso un passato pagano e un'Arte perfetta e fatale. Verso l'incontro, insomma, con il suo Doppio negato e dannato. Oscar Wilde, Pater e l'estetismo, i temi del doppio e del ritratto, ma anche le pratiche esoteriche e occultistiche diffuse nell'Inghilterra vittoriana, costituiscono i riferimenti contestuali del racconto. Ma è la presenza impalpabile della musica, invasiva e trascinante e maledetta, che rende "Lo Stradivario perduto" un racconto indimenticabile.
Anonimo -