Già nella "Parola dipinta" Giovanni Pozzi aveva magistralmente indagato "l'unione pù intima" fra parola e immagine che si ha nel calligramma. Ma la vicenda dei rapporti fra queste due potenze della nostra mente - di conseguenza fra arte e letteratura - include molte altre vicende, quanto mai complesse: basti pensare ai dipinti che, quasi crittogrammi, nascondono un testo verbale preciso e, a rovescio, alle scritte deposte in composizioni figurative. E fra questi due estremi si colloca un'ampia zona intermedia, che coinvolge forme miste quali l'emblema e l'impresa, le illustrazioni di testi letterari concepite o volute dall'autore (dalla "Hipnerotomachia Poliphili" ai "Promessi Sposi") fino ai numerosi enigmi del simbolismo iconico-poetico. Riprendendo la formula dantesca del 'visibile parlare' - "magnifico adynaton, un visibile da non vedersi" -, Pozzi ha ancora una volta esplorato territori nuovi, spesso evitati perché richiedono una uguale perizia nel seguire le due 'vie parallele' della figura e della parola. Dalla teologia mariana a Giorgione e a Piero della Francesca, dalla simbolica dei fiori alla scrittura geroglifica, vasti sono i campi dove questa indagine rigorosa e suggestiva ci conduce a risultati illuminanti, insieme storici e teorici. Tutto ciò che si pone, infatti, "sull'orlo del visibile parlare" mette in questione la natura stessa dello spazio figurato, là dove coabitano immagini e lettere, entro un sottile contrappunto in cui si tratta di riconoscere il retaggio della storia nell'operare della mente.
Anonimo -