In Corpo celeste, Anna Maria Ortese ha insistito sulla necessità di restituire al reale «il significato di appartenenza a unaltra realtà, con la quale sembrerebbe necessario, per rinnovarsi, confrontarsiogni tanto». Eppure nelle sue opere la realtà viene spesso filtrata dal fantastico, aprendo squarci di possibilità improvvise su mondi nuovi.Matteo Moca indaga la natura di questa zona intermedia tra reale e fantastico, nella convinzione che nellopera di Ortese questa non sia una mera scelta di campo letterario, ma un tentativo di impugnare la carica politica del fantastico, unica possibile via per illuminare il buio in cui luomo brancola.Unesigenza di realtà ci restituisce nella sua interezza lo sguardo di Ortese, che non è mai sognante ma ben spalancato a farsi testimonianza delle brutture e delle violenze dellepoca ferale in cui si immerge, un presente in cui gli angeli e le bestie che popolano le sue storie ci restituiscono il ritratto di «Uno scrittore-donna, una bestia che parla», tra le più grandi della nostra letteratura.
Anonimo -