"La guerra non esiste più". Così esordisce questo volume, opera di un alto ufficiale che ha vissuto da protagonista le più rilevanti vicende belliche degli anni recenti, dal Golfo alla Bosnia. Naturalmente, Rupert Smith non intende dire che nel mondo non si combatte più, bensì che la guerra come l'avevamo conosciuta fino a pochi decenni fa - la guerra degli eserciti che si fronteggiano in campo aperto, dalle grandi battaglie napoleoniche agli scontri fra divisioni corazzate - è stata sostituita da quella che egli chiama "guerra fra la gente". Una situazione in cui il campo di battaglia è costituito dalle strade, dalle case e, soprattutto, dalla popolazione civile, come hanno mostrato la Cecenia e la Jugoslavia, il Medio Oriente e il Ruanda. I civili sono ostaggi da sfruttare, scudi da utilizzare senza scrupoli, bersagli da colpire, obiettivi da conquistare. Un nuovo "paradigma" bellico che ha minato la possibilità di uso efficace della forza da parte degli stati. Ecco perché i militari non sono più in grado di ottenere quei risultati che politici incompetenti e boriosi pretendono da loro. Sono, di fatto, le organizzazioni che definiamo terroristiche a combattere nel modo più "aggiornato". Alle nazioni democratiche incombe di rispondere a questa sfida, la più minacciosa del nostro tempo.
Anonimo -