Scritte nel 1810 e rimaste per molti anni inedite, oggetto solo di letture private ad amici e personaggi pubblici come Metternich e Wellington, le "Avventure dell'ultimo degli Abenceragi" concludono degnamente, dopo "Atala", "René", "Il genio del cristianesimo", "I martiri" e "L'itinerario da Parigi
a Gerusalemme", la prima grande stagione narrativa di Chateaubriand, che abbandona temporaneamente la letteratura per la vita politica, ricoprendo le cariche di ambasciatore e di ministro.
In questa corta novella perfetta non c'è un attimo di stanchezza, niente di superfluo: un'ininterrotta, smagliante successione di quadri e di miniature in cui ha modo di brillare il talento descrittivo dell'Incantatore fa da sfondo al racconto dell'amore impossibile tra un cavaliere musulmano e una cristiana. Ritornano qui tutti i temi cari a Chateaubriand: il tema dell'esilio, la nostalgia per l'eroismo, la nobiltà e l'eleganza dei tempi passati, e soprattutto il tema della 'vita tra le rovine': l'arte di sopravvivere al crollo traumatico dei valori ereditati, che per l'autore si identificava con l'evento fosco e grandioso della Rivoluzione francese, e che nella novella è trasportato alla fine di un Medioevo sognato alla luce di un felicissimo, quasi miracoloso equilibrio tra romanticismo e neoclassicismo.
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