In un libro apparso nel 1985 ("Storia di un ebreo fortunato") Vittorio Dan Segre ha rievocato la sua infanzia in Piemonte, ha descritto la partecipazione della borghesia ebraica alla creazione dello Stato unitario, ha raccontato la sua scelta di giovane sionista alla vigilia della seconda guerra mondiale, gli ultimi anni dell'adolescenza in Palestina e la sua partecipazione al conflitto nella Legione ebraica dell'esercito britannico. In questo libro il giovane Dan è ormai un uomo. Dopo un breve soggiorno in Italia, partecipa alla guerra israeliana del 1948, si sposa ed entra nella giovane diplomazia di uno Stato appena nato. Sarà addetto stampa dell'Ambasciata israeliana di Parigi, direttore delle trasmissioni radiofoniche in lingua swahili per i paesi africani, corrispondente di giornali stranieri da Gerusalemme, responsabile del ministero degli Esteri per i rapporti con i Paesi africani di lingua francese, incaricato d'affari in Madagascar e, finalmente, professore in università americane e israeliane. Una carriera brillante e una vita normale? No. La carriera è brillante, ma la vita di Vittorio Dan Segre è tutto fuor che 'normale'. Il candore, l'ironia, l'intelligenza e la religiosità dell'autore sembrano attrarre gli avvenimenti insoliti, le situazioni paradossali e una folta schiera di personaggi eccentrici, stravaganti. Più che autobiografia, "Il bottone di Molotov" è una straordinaria raccolta di novelle, bozzetti, reportage giornalistici, analisi politiche, antropologiche e sociali. In questo libro vi è il romanzo di formazione del giovane Dan, impegnato a costruire un paese e a scoprire se stesso. Vi è il profilo di un giovane Stato, ancora gracile, dove i ministri lavorano ancora in baracche, simili alle casupole di un kibbutz, e Golda Meir fuma incessantemente riempiendo con dita sporche di nicotina un posacenere pieno di mozziconi. Vi sono i campi di battaglia del 1948 e del 1967. Vi è l'Africa di Tom Mboya e Julius Nyerere alle soglie dell'indipendenza, ancora piena di speranze e di illusioni. Vi è il leone stanco e assonnato del Negus che presta servizio di fronte alla porta del palazzo reale di Addis Abeba. Vi sono le comunità ebraicizzanti dell'Africa, mondi arcaici e affascinanti che Segre scopre durante i suoi viaggi. Vi sono gli ebrei convertiti al cristianesimo di un piccolo monastero nei pressi di Gerusalemme. Vi è persino "un piccolo affare Dreyfus di burocrati deficienti", come lo definì Isaiah Berlin, di cui l'autore fu vittima e da cui uscì trionfalmente passando dalla diplomazia all'università. Sul grande palcoscenico della sua vita Segre, nascosto nella buca del suggeritore, chiama dalle quinte, con un colpo della sua bacchetta, tutte le comparse e i caratteristi in cui ha avuto occasione di imbattersi: un diplomatico sovietico intelligente, disincantato e agente del KGB, un impiegato impazzito dell'ambasciata israeliana a Parigi che cerca di uccidere il suo psichiatra, uno scienziato che insegna l'arte del successo nel mondo accademico, una giovane cambiavalute ebrea di un quartiere miserabile di Chicago che accarezza il candelabro impresso sul passaporto israeliano dell'autore. E quando Dan si congeda, dopo avere cambiato il suo assegno, la giovane impiegata bisbiglia timidamente "Shalom". E' il saluto che l'autore manda implicitamente ai suoi lettori dalle pagine di questo libro. (Sergio Romano)
Anonimo -