Definito da un recluso "la casa di sapone" per essere un luogo "scivoloso" in cui è difficile rialzarsi dopo essere caduti, il carcere di San Pedro (La Paz, Bolivia) presenta al suo interno uno scenario del tutto particolare. Pur essendo ufficialmente sottoposto e regolamentato dalle leggi dello Stato boliviano, è di fatto gestito dai reclusi stessi, i quali concepiscono e rimodellano secondo le loro possibilità economiche lo spazio carcerario, abitato anche da quelle donne che, con i propri figli, hanno deciso di convivere col marito detenuto. I rituali, la religione, la salute, la malattia e il cibo sono il filo conduttore di una ricerca etnografica mirata a mettere in luce i meccanismi di annientamento e di sopraffazione che si innescano in un contesto simile e che hanno ripercussione sul concetto di corpo, persona e identità di coloro che vivono questa tragica esperienza, nella più inutile e ingiusta delle istituzioni statali.
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