Il 28 dicembre 1908, alle 5.20 del mattino, un sisma catastrofico colpisce Reggio Calabria, Messina e il loro circondario. L'epicentro, nel cuore dello Stretto, provoca un violento maremoto che investe il porto di Messina con onde alte due o tre metri sul livello del mare. L'acqua turbina, invade e uccide, sfonda porte, rapisce bastimenti ormeggiati alla rada e li trascina al largo, spazza via il centro abitato di Pellaro, sulla costa calabrese, e sposta di trenta metri un ponte d'acciaio. Dopo l'acqua, il fuoco: Messina arde in più punti e il 98 per cento degli edifici della città siciliana viene distrutto. La stima delle vittime si aggira tra le 80 e le 100 mila persone. Siamo di fronte a uno dei cinque peggiori disastri mondiali del Ventesimo secolo. La tragedia suscita, come inatteso effetto collaterale, una straordinaria ondata di patriottismo. Una classe dirigente che ha raggiunto la maturità politica da meno di cinquant'anni deve mettersi per la prima volta in discussione di fronte a un'opinione pubblica sempre più ampia e politicizzata, e dimostrare la propria competenza e il diritto a governare. Contemporaneamente si dispiega un vasto movimento di solidarietà nazionale.
Anonimo -