Ha scritto Christopher Isherwood che "Il falco pellegrino" è "uno di quei capolavori in cui è sempre più raro imbattersi". Romanzo perfetto, capace di sorprendere riga dopo riga, può essere accostato al "Buon soldato" di Ford Madox Ford: per l'intensità, ma soprattutto perché entrambi hanno come oggetto la passione nei suoi aspetti più tenebrosi e immedicabili. Sul finire degli anni Venti, in un indolente pomeriggio di primavera, una giovane ereditiera americana, che ospita nella sua casa di campagna in Francia un amico, scrittore fallito e io narrante, riceve la visita dei Cullen, perfetti esemplari, si direbbe, "di quella agiata genia britannica che infesta il mondo intero col suo eccesso di energia e di modi pacati". Sofisticati, blasé, gelidamente socievoli, puri passatori di tempo, i Cullen sembrano nutrire per se stessi e per ciò che li riguarda una passione debordante. Sul polso, Mrs Cullen regge un falcone incappucciato che ha chiamato Lucy in onore dell'eroina di Walter Scott e Donizetti e al quale vota un intenso amore. Ieratico e solitario, feroce e insieme minato da una brama tormentosa, negli occhi maniacali una fiammella senza luce né calore e che pure sprigiona una irresistibile malia, il falcone diviene il catalizzatore degli eventi di un pomeriggio brioso che inclina ben presto alla tragedia e alla catastrofe: al termine ogni personaggio dell'esiguo cast apparirà diverso da quello che sembrava, e nulla più, per nessuno, potrà essere come prima. Un interludio in cui la spuma iridescente della conversazione, diradandosi, lascia a poco a poco intravedere il volto ossessivo e oscuro dei personaggi, la pena assillante che essi cercano di alleviare - e verità pacatamente letali che lacerano come colpi di becco.
Anonimo -