Perché un problema sospeso la conoscenza della malattia? Perché lo stesso concetto di malattia ci appare sconosciuto? Come è possibile oggi avere dubbi su che cosa sia "malattia" quando la scienza medica in questi ultimi decenni ha individuato e descritto migliaia di entità nosologiche aventi dignità autonoma di "malattia"? Nel campo medico, così come in tutti gli altri campi del sapere umano, la dilatazione della conoscenza ci ha messo in contatto con una realtà tanto più grande, tanto più variegata quanto più siamo riusciti ad andare avanti. Si è raffigurato il nostro sapere in generale come un globo che quanto più cresce tanto più aumenta la propria superficie di contatto con un universo sconosciuto. Così è successo per il sapere medico, con la scoperta quasi quotidiana, in questi ultimi anni, di malattie nuove, di patologie che nessuno scrittore di fantascienza del secolo appena trascorso e dell'altro prima avrebbe potuto immaginare. Anche nel campo della medicina, infatti, la realtà scoperta dalla ricerca scientifica è tanto più originale e varia di quanto poteva immaginarsela un Giulio Verne, ad esempio, se avesse scritto di malattie, invece che di viaggi sulla luna o nel futuro. Ma in questa varietà, alla quale hanno contribuito gli studi di anatomia, di anatomopatologia, di citologia, di microbiologia, di clinica, e di tutte le altre scienze e discipline che possiamo considerare dal nostro punto di vista ancillari della medicina, si è perso il concetto unitario di malattia. Per cui, siamo in grado di riconoscere migliaia di malattie (al contrario degli antichi che ne conoscevano pochissime), ma abbiamo perso la capacità di attribuire loro unicità di origine, uguale coerenza nel danneggiamento della salute, identica conclusione. Per dirla con parole semplici, per gli antichi medici la malattia non poteva che concludersi con la guarigione o con la morte, poiché essi non avevano sperimentato la convivenza fra salute e malattia, non avevano nozioni su [...]
Anonimo -