Il pensiero ebraico del Novecento difende un umanesimo diverso da quello affermato nella storia della filosofia da Parmenide a Heidegger attraverso una metafisica culminante nella teologia razionale: esso non identifica l'umanità dell'uomo né nella ragione rivolta alla conoscenza dell'essere, né - in modo antitetico, o speculare - nella fede o senso del divino, ma nel libero accoglimento della legge morale proveniente da un Dio non incarnabile. Nella dimensione etica, pensata prima di quella del radicamento dell'uomo nel mondo, e inseparabile dalla sfera della politica, si rivela l'umano. Il pensiero che mette in luce la testimonianza di questa dimensione da parte dell'uomo nel tempo, trova dunque nelle fonti ebraiche - dalla Bibbia al Talmud, ai commenti alla Bibbia, alla liturgia, ai pensatori e poeti ebrei medievali - i propri mezzi espressivi; ma anche l'analisi di queste fonti, se ampliata a meditazione filosofica, può condurre a scoprire l'eticità originaria nella vita umana, anteriore a ogni egoismo. Il libro introduce a Hermann Cohen, Franz Rosenzweig, Martin Buber, Leo Strauss, Emmanuel Lévinas - autori che sperimentarono nella loro esistenza i funesti effetti di un umanesimo nutrito soltanto da fonti pagane e da fonti cristiane spesso distruttive nei confronti della radice ebraica - a partire da questa loro idea dell'uomo.
Anonimo -