"Si vis vitam, para mortem. Se vuoi sopportare la vita, disponiti ad accettare la morte". Nell'esortazione di Freud, scandita mentre era in atto la carneficina della prima guerra mondiale, riecheggiano i millenni della storia umana, gli immani tentativi di ogni civiltà di fronteggiare quella che è stata chiamata "la regina di tutti i terrori", allestendo gli apparati simbolici che mettevano la morte in continuità con la vita e la accoglievano nel perimetro, dei viventi secondo principi socialmente condivisi e canoni ritualizzati. Oggi, dopo che si è interrotta la lunga tradizione di pratiche relazionali intorno al morire - sempre più espulso dal comune orizzonte cognitivo, emozionale e valoriale, ma al contempo oggetto di dibattuti protocolli bioetici che disciplinano le terminalità protratte -, è ineludibile educare alla mortalità. Diffusa da decenni nei Paesi anglosassoni, la Death Education si propone di rinsaldare gli ancoraggi psicologici che consentono di riconoscere i profili dell'angoscia, prevenire i fattori scompensanti del lutto patologico ed elaborare i vissuti di perdita a tutte le età, in particolare durante l'adolescenza, quando è maggiore il rischio di condotte autolesive e ideazioni suicidarie e rimane ancora indefinita la tassonomia di gravità delle esperienze. Un buon esercizio di resilienza, che Ines Testoni prospetta nella sua completa ricognizione dei Death Studies... Prefazione di Emanuele Severino.
Anonimo -