"Mio nonno cambiava spessissimo connotati. Una volta aveva dei baffetti sottili, un'altra volta il pizzetto, qualche volta la barba. Ma sempre le mani ai fianchi e il mento puntato verso l'alto. Un retaggio. Non facciamo i mammolini! mi diceva". Svetta su tutti gli altri il ritratto del nonno. Ma ognuno dei personaggi, anche minore, che scorrono ha qualcosa di unico e vivido, un umorismo poco appariscente e persistente, un caldo ritemprante affetto non sentimentale. Sono schegge di avventure di pace e di guerra, ricordi di fatti straordinari e peripezie famigliari raccolti da bambino, con alcune irresistibili incursioni nel presente - la smemoratezza del padre e la formazione di un complesso punk -, in cui riecheggiano termini di moda e luoghi comuni usati fino a ieri e che sembrano già parole morte. Una lingua perduta che suggerisce che il soggetto di "Le ultime ore dei miei occhiali" forse è il tempo, il nostro passato prossimo che sembra già incredibilmente remoto. E quindi uno schizzo, un abbozzo di ritratto privo di ogni presunzione che non sia l'umorismo, di una condizione umana presente e di una generazione.
Anonimo -