Oliver Sacks è un neurologo, ma il suo rapporto con la neurologia è simile a quello di Groddeck con la psicoanalisi. E anche questo va aggiunto: Sacks è uno scrittore con il quale i lettori stabiliscono un rapporto di tenace affezione, come fosse il medico che tutti hanno sognato e mai incontrato, quell'uomo che appartiene insieme alla scienza e alla malattia, che sa far parlare la malattia, che la vive ogni volta in tutta la sua pena e però la trasforma in un "intrattenimento da Mille e una notte". Questo libro, che si presenta come una serie di casi clinici, è un frammento di tali Mille e una notte. Nella maggior parte, questi casi - ma Sacks li chiama anche "storie o fiabe" - fanno parte dell'esperienza dell'autore. Così, un giorno, Sacks si è trovato dinanzi "l'uomo che scambiò sua moglie per un cappello" e "il marinaio perduto". Si presentavano come persone normali, ma in questi esseri si apriva una voragine invisibile: avevano perduto un pezzo della vita, qualcosa di costitutivo del 'sé'. Il musicista carezza distrattamente i parchimetri credendo che siano teste di bambini. Il marinaio non può neppure essere ipnotizzato perché non ricorda le parole dette dall'ipnotizzatore un attimo prima. Che cosa vive, se non sa nulla di ciò che ha appena vissuto? Rispetto alla normalità, che è troppo complessa per essere capita, e tende a opacizzarsi nell'esperienza comune, tutti i "deficit" o gli eccessi di funzione, come li chiama la neurologia, sono squarci di luce, improvvisa trasparenza di processi che si tessono nel "telaio incantato" del cervello. Sacks è il mago benefico che le riscatta, e per pura capacità d'identificazione con la sofferenza, con la turba, con la perdita o l'infrenabile sovrabbondanza riesce a ristabilire un contatto, spesso labile, delicatissimo, sempre prezioso per i pazienti e per noi, con mondi remoti e altrimenti muti.
Anonimo -