Quando il Silvio, grande raccontatore di miracoli, si affacciò sulla scena politica nazionale, ancora si ripeteva in giro che la televisione era lo specchio della società. Era un'interpretazione ormai inadeguata: presto la società italiana sarebbe entrata dentro quello strano specchio, tutta intera come Alice e, come lei, sarebbe partita per il viaggio più colorato e spaventoso della propria Storia. Perché ancora un attimo prima che accadesse, sembrava impossibile. Invece è successo, non una ma tre volte, che il Paese si sia affidato al Silvio, un imprenditore scafato e di successo che solo le barzellette, prima di Tangentopoli, avrebbero visto come Capo del governo. La sua stessa 'discesa in campo', che le agiografìe vogliono maturata nello spazio di poche settimane, ha più di un aspetto paradossale, a cominciare dalla motivazione: il Silvio dichiarò di entrare in politica per non abbandonare il centro moderato alia mercé delle Sinistre - un anelito ideale mai confessato prima in pubblico ma che appariva, all'improvviso, sentitissimo. E il 26 gennaio 1994, bello come sapeva essere bello lui a soli cinquantanove anni, il Silvio apparve sui teleschermi per formalizzare, gli occhi negli occhi degli Italiani, la propria candidatura alla testa di un nuovo movimento politico che - dettaglio non secondario in quella stagione non avrebbe pesato per una lira sui bilanci pubblici, in quanto interamente sostenuto dalle finanze personali del leader e patron.
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